Un anello sul Gruppo del Ceresa; da Tallacano per Cocoscia, Pizzo dell’Arco e Sasso Spaccato e ritorno a Tallacano.


I 2000 sono lontani dalla meta di questa escursione, fanno solo da contorno, da confine dell’orizzonte; la montagna che è la meta di questa escursione è il Pizzo dell’Arco, uno sperone di 1011 metri che si affaccia come un trampolino sulla valle del Tronto, proprio sopra Acquasanta. Siamo in terra marchigiana, nel comprensorio che precede i Sibillini, un vasto territorio tortuoso e rugoso di circa 120 Kmq compreso tra i fiumi Tronto e Fluvione, che si estende fino al comune di Montegallo, l’imbuto del Vettore è ormai nelle vicinanze; ricco di macchia mediterranea, faggete e storia con i suoi numerosi paesi rurali ormai abbandonati o quasi è da sempre abitato dall’uomo e per questo ricco di sentieri che sono stati di recente abilmente recuperati da un minuzioso lavoro dei soci della sezione del CAI di Ascoli Piceno. E’ il comprensorio del Monte Ceresa, prende il nome dalla sua elevazione maggiore appunto il Ceresa, che con i suoi 1494 metri sorge alle spalle di Pretare, praticamente sotto lo sperone est del Vettore. Come si è più volte ripetuto i Sibillini si sfiorano ma la conformazione del territorio è quello della vicina Laga; frequenti affiorano le arenarie, impressionanti, nonostante le modeste altezze, sono gli sbalzi rocciosi che si protendono nel vuoto e che compaiono all’improvviso sulle creste; mancano solo lo scorrere dell’acqua copioso e le cascate rumorose , elemento tipico della vicina catena più blasonata. Percorrendo la Salaria si esce dopo Acquasanta, per chi proviene da Roma o dopo Mozzano per chi proviene da Ascoli nei pressi della centrale idroelettrica; i cartelli sono ben visibili. Meno visibili ma comunque facili da trovare sono quelli per la deviazione verso Tallacano, il paese da cui parte il sentiero proposto. Una strada tortuosa di una decina di chilometri, superato il Tronto nei pressi di un piccolo lago di sbarramento, si infila nella valle, tra balzi di arenarie, spicchi di terra coltivata rubati alla macchia e boschi intricati. Tallacano si delinea su uno sbalzo di arenaria, alcune case sembrano nascere dalla roccia stessa, ma non lo raggiungiamo; parcheggiamo nei pressi del piccolo cimitero, meno di un chilometro dal paese(610 mt). Di fronte, bel visibile e contraddistinto dalla segnaletica del CAI, il sentiero 402 inizia pianeggiante e poi in leggera salita si inoltra prima in un castagneto e poi sfiora una evidente presa d’acqua in mattonato che lasciamo sulla destra. In leggera salita nel bosco a circa 30 minuti dalla partenza incrocia una pista, il sentiero 416 (750 mt); prendiamo verso sinistra, dove si fa ampia carrareccia pianeggiante in splendida posizione a dominare la valle sottostante e il paese di Tallacano con le sovrastanti rovine di Poggio Rocchetta, ciò che resta di un paese antico che sembra uscire dalle viscere dell’arenaria che forma le coste di quel lato della valle. Prima in discesa e poi pianeggiante si sfiorano piccoli appezzamenti coltivati, grossi orti, fino a raggiungere, in circa 40 minuti, le poche case ristrutturate del paese di Cocoscia. Dai 660 metri di Tallacano siamo ora ai 696 metri di Cocoscia, il percorso è stato fin qui un piacevole e rilassante saliscendi “preappenninico”. Le poche case di Cocoscia sono perfettamente restaurate, una chiesetta graziosa ed un lavatoio, peccato che tutto sia serrato e sprangato, sembra di essere in un set di un film. Di fronte al lavatoio, ci si abbassa su delle scalette in cemento e si prende l’esile sentiero 417 che si inoltra attraversando il lato nord della piana coltivata, fino ad inerpicarsi leggermente e sfiorare un’altra presa d’acqua recintata. Proprio a lato di questa opera di presa prendiamo repentinamente a destra in leggera discesa, addentrandoci nel bosco, e successivamente svoltiamo a sinistra dove il sentiero si fa a tratti esile e ripido e qua e là supera sottili strati di arenaria affiorante. Siamo sulla cresta di Capo Castello, sotto tra le fronde del bosco si iniziano già a intravedere il primi profondi salti verso la valle sottostante. Quando il sentiero torna ad essere pianeggiante la sorpresa è quella di entrare in un rado bosco di castagni secolari, alcuni cavi all’interno, di dimensioni così grandi da poter contenere quattro persone contemporaneamente. Non sempre capita di poter vedere esemplari di castagno così monumentali. Tagliando il bosco, il sentiero, a tratti poco evidente, torna ad inerpicarsi sulla cresta, ora esile, ora di nuovo appoggiato su arenarie affioranti, in molti tratti sfiorando affacci vertiginosi appena protetti dai lecci che si protendono nel vuoto. Dopo alcuni salti ripidi il sentiero sbuca sulla cresta sommitale aperta verso ovest; una breve deviazione sulla sinistra si alza e inoltrandosi tra lecci e ginepri e conduce al piatto sperone di vetta del Pizzo dell’Arco. Sono 1011 i metri di questo sbalzo nel vuoto, circa un’ora da Cocoscia, uno sperone roccioso che si affaccia sulla valle del Tronto, che domina un panorama davvero mozzafiato che va dai Monti Gemelli alla Laga, che giganteggia con la Macera della Morte ed il Sevo poco dietro, fino alla mole del Vettore. L’affaccio è da brivido, Acquasanta è a picco sotto di noi e la sensazione di esposizione nulla invidia a quella di montagne più alte e blasonate. Dopo la dolcezza dei paesaggi rurali e dei castagneti appena superati, l’impatto è violento e la dimensione è assolutamente quella della montagna. Il magnifico punto di osservazione sulle vette ancora innevate dei monti circostanti e i ripidi tratti dell’ultimo pezzo di cresta superata invitano alla sosta, il tiepido sole primaverile favorisce la pigrizia, Io e Marina ci lasciamo coinvolgere ed allunghiamo la pausa. Riprendiamo l’ultimo tratto di percorso in discesa fino ad intercettare di nuovo il sentiero di cresta che in un primo momento ritorna ad inoltrarsi in un bosco leggero; si intravede la sagoma del Vettore davanti a noi, verso Est, e la cresta boscosa del Ceresa, fino a quando dopo pochi minuti ci si ritrova allo scoperto della vegetazione, su una piattaforma levigata di ardesia che si affaccia nel vuoto sul sottostante Fosso di Novelle; audace è l’affaccio sul salto, la roccia levigata e lo spigolo arrotondato dagli agenti atmosferici non assicurano appigli per sporgersi; mi faccio fotografare spavaldo quasi sul bordo del terrazzo ma devo ammettere che l’effetto è di quelli forti. La valle del Fosso di Novelle è boscosissima e molto profonda, le ardesie sporgenti della costa del vicino Monte Vicito che ci si affacciano danno l’impressione del canyon e accompagnano lo sguardo verso lo spigolo innevato del Vettore; non c’è che dire, il paesaggio è di sicuro impatto e vale il prezzo della salita. Il sentiero continua in leggera discesa, ora di nuovo boscosa, fino ad intercettare un ampio sentiero, di nuovo il 416, una carrareccia in prossimità di una stretta curva a circa trenta minuti da Pizzo dell’Arco. Lo si prende verso sinistra, prima a salire per un breve tratto e poi di nuovo pianeggiante fino ad intercettare dopo circa venti minuti dall’incrocio, il sentiero 419; se lo si segue verso sinistra permette di raggiungere in circa un’ora, sempre immersi in un fitto bosco, il Monte Savucco, un altro dei promontori principali del gruppo ma anonima cima boscosa che raggiunge i 1205 metri di altezza. Lo prendiamo invece verso destra, in discesa, su una ripida cresta boscosa che permette di scendere velocemente (meno di 30 minuti) i 250 metri di quota che ci dividono dal sentiero 420; preso verso sinistra in dieci minuti si raggiunge il Sasso Spaccato (801 mt), forse il momento più suggestivo dell’escursione. Il nome lo dice, si tratta di un minuscolo canyon, non raggiunge i 10 metri di larghezza, lungo circa 100 metri è formato da pareti perfettamente verticali, levigate, parallele, alte in alcuni tratti una ventina di metri; sopra l’azzurro del cielo sparisce quasi nascosto dalla volta delle fronde del bosco che ci si affaccia sopra. Quando lo si scopre, dietro una leggera curva si rimane sorpresi da tanta geometrica precisione, viene da domandarsi quasi, quali enormi braccia di scalpellino possano aver creato questa strana anomalia del territorio. Certamente un fenomeno naturale di particolare bellezza e suggestione. Lo si percorre fino all’estremità dove si riapre la vegetazione e qualche orto, poi si torna indietro continuando a sorprendersi ad ogni passo o ad ogni radice sospesa dei faggi sovrastanti. Si riprende verso valle percorrendo un pianoro ampio e dopo circa quindici minuti da Sasso Spaccato si raggiunge la chiesetta di San Pietro, un gioiello recentemente restaurato, che contiene interessanti affreschi ma che troviamo purtroppo (o forse sarebbe meglio dire per fortuna) chiusa. Dalla chiesetta, per strette svolte e per un sentiero a tratti ripido e a tratti su levigate lastre di affiorante ardesia si raggiunge la bianca strada che collega Tallacano a Poggio Rocchetta. Verso destra il centro del paese è a pochi passi, la strada asfaltata in discesa consente di chiudere l’anello fino al parcheggio del cimitero. Un sentiero senza grandi difficoltà, in 4 / 5 ore si completa, con poco dislivello, circa 500 metri in totale, che comunque con qualche tratto ripido fa spesso salire il cuore in gola; tratti di sentiero rilassanti tra orti e campi coltivati, un paese deserto ma perfettamente restaurato, un bosco di castagni secolari e affacci spettacolari su balconate di ardesia proiettate nel vuoto e sulla Valle del Tronto; i Monti della Laga e la mole del Vettore a dominare la scena ed un piccolo canyon scolpito nella roccia ad aprirsi sul sentiero neanche fossero le acque del mar Rosso. Che altro si può chiedere ad una giornata di montagna, anzi di mezza montagna? Guida e carta di riferimento del Monte Ceresa, a cura del CAI di Ascoli Piceno; carta escursionistica 1:25000 con itinerari di mountain-bike.